Il “Mi Piace” non piace più al giudice.
CALIFORNIA – Un giudice ha respinto la risposta che i legali di Facebook hanno dovuto dare al giudice Richard G. Seeborg della Corte distrettuale degli Stati Uniti a San Francisco per una azione legale in “Class action” intrapresa da alcuni utenti “Mi Piace” contro il social network per aver violato i Diritti della Legge dello Stato della California in merito all’utilizzo improprio del “Mi Piace” nella pubblicità a favore di alcuni inserzionisti, senza che questi ultimi siano retribuiti per questa loro approvazione con il “Mi Piace”. Inoltre il giudice ha voluto precisare anche l’importanza di informare in modo debito i minorenni sullo scopo pubblicitario di destinazione dei loro “Mi Piace”.
Poi il giudice ha puntualizzato ancora una volta l’importanza che tutti gli utenti di Facebook siano sufficientemente messi al corrente su come il loro “Mi piace” siano tradotti in profitto per le aziende e ha poi ordinato alle Parti di raggiungere un accordo provvisorio, all’inizio di quest’anno.
Quindi la proposta di transazione fatta da Facebook è stata accettata dalle Parti ed è formulata in due punti salienti. Il primo punto si ripropone di informare meglio gli utenti sulle storie sponsorizzate e si impone di limitare l’uso della funzione opt-out alle persone sotto i 18 anni. Il secondo punto accettato dal socialcolosso è quello di pagare 10 milioni di dollari per la sponsorizzare di gruppi di lavoro che si battono sui diritti alla privacy digitale, più 10 milioni di dollari per coprire le spese legali dei ricorrenti.
Questa soluzione accettata, però non è stata sufficiente ad inibire Facebook nel continuare a proporre ancora le storie sponsorizzate. Insomma, questa offerta di patteggiamento per Facebook non è sufficiente a fermare la sua sfrenata voglia di trarre profitti dalla pubblicità perchè ha bisogno di questi proventi per aumentare le entrate e convincere gli investitori delle sue prospettive a lungo termine.
Quindi lo scorso Venerdì il giudice federale della California ha respinto la risposta dei legali di Facebook. Quasta era attesa anche dai legali della class-action per poter dimostrare che i termini dell’accordo non erano stati considerati come”aria fritta”.
Di fatto il caso si concentra su una tattica pubblicitaria conosciuta anche come “sponsorizza le storie”, in cui Facebook chiede agli utenti di avallare i marchi con il “Mi Piace”, in alcuni casi, senza che gli utenti siano a conoscenza che la loro approvazione sarà utilizzata ai fini pubblicitari.
Se per esempio gli utenti esprimono il “Mi Piace” su una azienda rivenditrice, la stessa azienda utilizza poi questi ultimi nella pubblicità per confermare questi prodotti ai loro amici sul social network. L’azienda paga Facebook per il servizio.
Facebook ha dato molto risalto a questo tipo di pubblicità. Inquanto per i suoi nuovi dirigenti sembra rappresentare una particolare fonte preziosa di entrate nella sezione cellulari, un’area dove l’azienda ha lottato per rafforzare i propri profitti.
Nella querela presentata lo scorso anno, i querelanti hanno sostenuto che gli utenti di Facebook non sono stati sufficientemente informati su come il loro “Mi Piace” si traducano in profitti per l’azienda. Le due parti hanno raggiunto un accordo provvisorio all’inizio di quest’anno. Come componente del patteggiamento proposto, Facebook ha accettato di informare meglio gli utenti sulle storie sponsorizzate, per limitarne il loro uso e per consentire alle persone sotto i 18 anni di capire questa funzione. Ma il patteggiamento non ha inibito Facebook che ha continuato a servire storie sponsorizzate.
Venerdì, quindi il giudice Richard G. Seeborg della Corte distrettuale degli Stati Uniti a San Francisco ha respinto il progetto di decreto e ha chiesto a entrambe le Parti di portare giustificazione di come entrambi abbiano portato a termine il loro negoziato con gli importi dovuti.
E ha detto: “Si metta agli atti che: – Ci sono ragionevoli dubbi per quanto riguarda la soluzione di pattegiamento proposta”.
Questi “dubbi” sono stati sufficienti a far scattare in aula gli avvocati di Facebook che sono corsi subito a cercare di convincere la Corte delle loro ragioni e nei prossimi mesi si impegneranno a mantenerle.
Il giudice Seeborg ha poi aggiunto che voleva chiarimenti in merito per dare sollievo a tutti quei milioni di utenti di Facebook di cui nomi e fotografie sono già state utilizzate per scopi pubblicitari. Inoltre ha ancora richiesto di “adeguarsi a questa norma di correttezza” e di concordare con le Parti le destinazioni degli importi da dare in beneficenza.
Ha sollevato poi ancora una preoccupazione su quanto e come le dimensioni di pagamento legale sia preoccupantemente irrisorio rispetto alle richieste dei querelanti.
“Continuiamo a credere che la soluzione sia equa, ragionevole e adeguata”, un portavoce di Facebook ha detto in una e-mail in ritardo Sabato. “Apprezziamo la guida della corte e siamo ansiosi di affrontare le questioni sollevate in ordine. Siamo fiduciosi di poter risolvere le questioni sollevate dal giudice senza rivedere sostanzialmente l’accordo.”