Tempi terribili per i colossi dell’elettronica giapponese

Anni di decisioni sbagliate e la crisi del momento sembrano aver portano i colossi dell’elettronica giapponese in acque molto, molto agitate e Sharp, Panasonic e Sony sembrano non saper tener testa ad una tigre che poco più in là insieme al dragone, vuole la sua fine.

Questi tre giganti dell’elettronica del sol levante stanno dimostrando i primi segni di un cedimento aziendale generale e questi segni hanno una linea rossa che indica, sul tabellone del grafico della borsa di Tokyo, una vertiginosa caduta dopo molti anni di positive politiche aziendali sbagliate che non ha tenuto conto delle opportunità dei cambiamenti che il mercato tecnologico aveva già iniziato a segnare a fronte di una domanda elettronica vistosamente diversa da quello che questi colossi dell’elettronica continuavano a fornire, secondo una loro presa di posizione troppo predominante ed approfittatrice in alcuni settori della tecnologia di largo consumo e videogiochi, facendo chiaramente percepire a tutti noi che tutto il resto non li riguardasse così da vicino come il loro core business portato avanti senza troppi sforzi su Tv a schermo piatto e videogiochi che in questi ultimi anni non hanno di certo brillato per il loro risultato originale soprattutto nel settore della sicurezza informatica per gli acquisti online, dove Sony non è stata capace di proteggere i dati sensibili di milioni di affezionati clienti che risentiti dall’attacco informatico del 2011 si sono disaffezionati.

I tre dal canto loro continuano a piagnucolare perdite rilevantissime e le giustificano con dei se e dei ma, quasi come se non volessero far sapere ai loro investitori internazionali che la decisione del popolo giapponese di non volere più un futuro nucleare porterebbe la conseguenza di far crollare gli investimenti che questi monopolizzatori del mercato energetico giapponese hanno di “nascosto” sostenuto ed effettuato.

Sharp quindi giovedì ha dichiarato, alla platea di investitori che ascoltava basita la decisione del suo amministratore delegato Takashi Okuda, di chiudere stabilimenti e adottare una politica di licenziamenti e tagli senza precedenti dopo decenni di crescita a fronte di una perdita di 5,6 miliardi dollari ed ha avvisato i suoi investitori di avere seri dubbi di poter continuare a sopravvivere. Di fatto, nell’ultimo periodo di quest’anno la perdita netta di 3,1 miliardi di dollari e questa continua ad aumentare.

 

Anche la Panasonic, lo stesso giorno ha perso la decisione di fare eco alla sua concorrente ed ha riferito che il suo valore in borsa a Tokyo sta crollando a fronte di decisioni che non hanno dato i risultati sperati ed hanno penalizzato tutto il suo valore con un netto segno al ribasso del 20%, pari ad un ammanco sulla previsione annua di 9,6 miliardi di dollari.

 

La Sony, nonostante la sua caduta di stile si conferma la più bella delle tre sorelle di madre terra anche se anch’essa si trova in posizione di svantaggio rispetto alle sue concorrenti occidentali o coreana, con un netto andamento in perdita che ammonta a quasi 194 milioni di dollari spalmati su quasi tutti i suoi prodotti di largo consumo.
Mentre, in ambito medicale, Sony stringe un’alleanza strategica con Olympus che apre ad un investimento sul futuro che potrebbe portare qualche utile anche se la concorrente Storz (nota ditta medicale tedesca) la pone in posizione di inferiorità, non solo tecnologica, ma anche distributiva, ora che il Care si sviluppa soprattutto nei mercati orientali dove, la vicina potenza economica, ha fatto capire hai mercati emergenti affamati di nuovi investimenti che Lei non gradisce mangiare sushi o sashimi a pranzo.

La disputa territoriale tra Cina e Giappone dunque non concilia la vendita dei prodotti giapponesi.
Anche perché, il relativo boicottaggio non dichiarato di questi prodotti nel mercato di largo consumo cinese in grande crescita, predilige un basso costo dei prodotti ad alta tecnologia che non va di pari passo con il consumo delle chicche tecnologiche che sono il fiore all’occhiello dell’industria giapponese che da sempre ci ha abituato a trovare piccole intelligenti e sofisticate soluzioni che però non modificano significativamente il risultato finale del prodotto che negli ultimi anni ha continuato a salire di costo compromettendo la vendita per la grande distribuzione affamata solo di risultati economici.

Questo segna il crollo dei colossi dell’elettronica giapponese che è dovuto a troppi passi falsi con enormi investimenti di denaro in tecnologie sbagliate per una bolla speculativa di produzione che ha mascherato e maschera una continua debolezza del modello giapponese che ha dimostrato una certa pigrizia nel dare ai sui clienti degli stimoli maggiori d’acquisto dei loro vecchi prodotti.

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